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Il
Santuario di Gallivaggio, detto "Santuario della Madonna della
Misericordia" è considerato il centro spirituale della Valchiavenna.
Situato a 800 mt. di altezza il Santuario è raggiungibile dalla Strada
Statale dello Spluga, pochi chilometri oltre il centro abitato di
S.Giacomo Filippo.
La costruzione attuale è la terza sorta sul luogo in cui il 10 ottobre
1492 la Madonna apparve a due ragazze che si erano recate nelle selve a
raccogliere castagne, affidando loro un messaggio di pace e speranza.
Subito dopo l'apparizione fu eretta una cappella lignea sostituita poi
con una in muratura.
L'attuale Santuario fu eretto tra il 1598 e il 1603, mentre il campanile,
isolato rispetto all'edificio venne costruito nel 1731. La facciata è
semplice con tetto a capanna, l'interno è a tre navate con volta a
crociera sostenute da colonne monolitiche di granito. Al suo interno
trovano posto pregevoli affreschi tra cui uno raffigurante il Battesimo
di Gesù di L. Tagliaferro di Piagnona (Lecco 1884), opere di Paolo
Camillo Landriani detto Duchino (1606) e un dipinto olio su tela di
Cesare Ligari (1739).
Di particolare interesse è l'organo donato nel 1673 da valligiani
emigrati a Palermo. Ai piedi dell'altare nel 1970 è stato posto il masso
di granito su cui è apparsa la Madonna. L'altare maggiore è opera Barocca
e nella nicchia che vi sta sopra è collocato un pregevole gruppo ligneo
dorato e dipinto raffigurante l'apparizione, una Madonna con Bambino e
due fanciulle realizzato nel 1631, incoronato nel 1742 e successivamente
resturato nel 1993. Le due corone poste sul gruppo ligneo sono delle
imitazioni; le originali si possono ammirare visitando il Museo del
Tesoro a Chiavenna presso la Collegiata di San Lorenzo.
L'ampio piazzale antistante la costruzione è stato lastricato nel 1992 in
occasione del quattrocentenario dell'apparizione. E' possibile accedere
al Santuario anche attraverso una scalinata di settantadue scalini in
granito con in cima una croce, anch'essa in granito con un Cristo in
bronzo. Particolare è l'ambiente naturale in cui è collocato,
caratterizzato da una parete strapiombante che lo sovrasta, chiamata
dagli abitanti del luogo "mòta séca".
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