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Pittore Vitali G.

 

Lo stile

   

La verità era che la pittura di Vitali, fissata come si mostrava sul presente, sembrava, nel suo glorificare se stessa, abolire tutte le questioni di forma che l’avevan preceduta; e quelle che, con ogni probabilità, la seguiranno; per stigmatizzarsi, mobile della mobilità propria alle meraviglie, nel tempo della gloria.
E dire che quei fasti erano isole che lei, la dea pittura, aveva offerto a Vitali, mentre per vivere lui era costretto a venderla, la dea, e a farsi esecutore forzato d’una serie infinita di dipinti eseguiti su comanda; fino a dieci, quindici al giorno; per il pane e companatico suo; e della famiglia. Ma, la pittura, quando sa che la sua svendita accade per simile, insormontabile ragione, tiene nascosto, dentro il suo manto, un codice che è, insieme, di risarcimento e di vendetta. Volevano gli oscuri mercanteggiatori della profanazione strozzare la mia gloria nella tua seriale, costretta produzione? Ed ecco, io, pittura, mostro a loro, e agli altri, i ciechi e sordi ‘mappisti’, o ‘mappatori’ di che “lagrime grondi e di che sangue”, e di quali, anche, irrangiungibili bellezze, l’arte di chi, apparentemente tradendomi, mi fu, come te, Vitali Giancarlo, devoto; anzi, devotissimo.
Così, alla nefasta serialità, la pittura, rispose, con l’opera che a Vitali veniva concesso di dipingere nei momenti di pausa e di pace; rispose tramite il suo stesso, titleissimo fasto.
Vitali è sì pittore istintivo, ma non ha mai rinunciato a studiare, a documentarsi. Il filone di partenza è indubbiamente quello espressionista, principalmente Soutine, poi Kokoschka, a volte anche Ensor, ma la differenza è sostanziale. In lui il dato realistico è sempre dichiaratamente leggibile e la figurazione non si sfascia nella trasfigurazione dell’inconscio. Egli racconta, è esplicitamente narrativo, oggettivo pur nella sua partecipazione viscerale. I soggetti che possono richiamare iconomicamente Soutine (fiori, pesci, personaggi, animali scuoiati) sono poi il risultato di una stretta aderenza con la sua terra, la sua gente, dell’uomo che ha scavato nei loro volti e che ha lavorato il colore come il contadino la vigna.
Il coniglio, il toro macellato sono la trasposizione oggettiva di tale sensibilità e legame. Il gusto del sangue, del suo fluire, dell’”ematicità”, come lo chiama Testori, del senso sacrificale nei riguardi dell’animale hanno infatti una tale preistoria. La “bestia” per la nostra gente era una condizione di sussistenza, colei che permetteva loro di “saziare”, si fa per dire, una fame atavica. Il toro squartato di Vitali non è per questo anonimo, iperrealisticamente asettico, ma vissuto e sofferto. Non è uno dei mille animali che entrano quotidianamente nei macelli e che escono in scatoletta. Il toro macellato a Bellano non può essere altrove, è come Il sacrestano di Pasturo, o La pazza di Sant’Agata. Vitali pittore, personaggio autentico e artista perché è riuscito a penetrare con le sue radici dei dati culturali, a viverli e superarli. Non si è chiuso, ha guardato oltre gli orizzonti del suo campicello, ma senza bluffare.
Essendo uno dei pittori più versatili dell’arte contemporanea italiana, dotato di mezzi espressivi ricchissimi, Vitali è in grado di fare ciò che nell’antichità era il primo traguardo di ogni pittore aspirante a diventare un grande maestro: cioè eguagliare i grandi artisti del passato. Ma, oltre a questa straordinaria capacità, Vitali è riuscito a costruire uno stile personalissimo.
Le carni e i fiori di Vitali sono passionali e sensuali; i suoi colori, usati con una padronanza permessa soltanto ai grandi pittori, non sono mai timidi o sottotono. Le nature morte pulsano calde e perennemente mobili come il cuore dell’uomo. Ma nel caso dei quadri di Vitali, invece che di “nature morte”, si dovrebbe parlare di “ancora vita”.
Giancarlo Vitali dipinge da più di quarant’anni, prediligendo la tecnica a olio in cui ha raggiunto una maestria autentica, ma senza tralasciare, come vedremo, il campo dell’incisione. E’ autore di ritratti e nature morte di vario formato, caratterizzati da una tavolozza sempre freschissima e così crepitante da ricordare subito quella di Soutine, il grande ebreo lituano la cui pittura pareva fatta di lingue di fuoco . E proprio come in Soutine, la pittura di Vitali nasce da una meticolosa scelta e preparazione dei supporti.
“Mi servo sempre di tele o cartoni-dice infatti l’autore-‘preparati’ con fondi di tavolozza che ho lasciato seccare e stagionare a lungo, anche per un anno intero. Uso insomma tele sporche, mai immacolate. E’ un espediente di mestiere che ha una duplice ragione: innanzitutto perché così si forma una sorta di pellicola secca che impedisce ai colori a olio di scurire e annerirsi; in un secondo luogo perché, spesso, questa precedente preparazione diviene motivo di ispirazione, ed entra a far parte integrante del mio nuovo soggetto. Ciò è particolarmente evidente, per esempio, nella “natura morta con galli” dove le due frecce rosse, che danno drammaticità all’immagine, sono i rimasugli di un abbozzo preesistente, raffigurante un passaggio a livello e mai ultimato. Come dicevo, cerco di costruire l’immagine con pennellate brevi e definitive, senza più rimaneggiarle”
“La mia aspirazione di oggi rimane quella di un tempo: eseguire il mio lavoro di artista con la stessa onestà che un falegname ha nel fare il suo”
“Voglio fare come ho sempre fatto, non da eroe, ma da artigiano”
“Artigiano di genio”, sempre curioso e capace di interpretare tanti diversi stimoli culturali in una visione autonoma. La sua opera è un succedersi di esperienze in continua trasformazione, man mano l’intonazione del colore si fa sempre più preziosa, mentre l’integrità della forma tende a ridursi sotto i colpi delle pennellate, libere e sciolte.
E’ l’artista del vigore e della materia, che sa lavorare solo con la materia.
“Nel mio studio nulla si butta, si conserva tutto, meglio una tela o cartone, o ancora tavola di legno, preparata, chissà quando, con i colori lasciati casualmente sulla tavolozza o mentre si puliscono i pennelli”. Allora sì, districandosi tra quelle macchie, Vitali comincia a scorgere le nuove forme del soggetto. Colore che si sovrappone a colore. Non parte mai dai contorni delle figure ma sempre dall’impasto cromatico, quel che si vede è lo spirito, che dà vita alle cose. Non dipinge quasi mai paesaggi.
Ricchezza di ispirazione, pausata tensione meditativa, complessa facoltà evocativa hanno riscontro in Vitali nell’ampiezza e nella molteplicità della materia e delle tecniche adottate per trattarla e piegarla alle necessità espressive. Gli olii sono densi e pastosi, a strati sovrapposti con macchie di colore che tralucono da volute lacerazioni, pennellate lunghe, avvolgenti, cariche, grondanti di umori, palpabili.
“Già a vent’anni avevo liberato la mente dai Sironi e De Chirico di turno per dedicarmi alla pittura senza più alcun ostacolo mentale e culturale. La mia vita è tutta imperniata sul mio lavoro: con la mente lavoro persino di notte, immaginando quello che potrei fare il giorno seguente.”
Pittura fresca, spontanea e allo stesso tempo sapiente e magistralmente eseguita.
“Anche se mi hanno paragonato a numerosi pittori di avanguardia, in realtà non ho mai aderito ad alcun manifesto in quanto mi considero uno sperimentatore.”
Fuori dal tempo, gli piace il confronto con gli espressionisti tedeschi, con Ensor in particolare dal quale ha ereditato oltre alla tecnica l’iconografia della maschera come caricatura dell’uomo.