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Pittore Vitali G.

Note tecniche

   

I procedimenti cui fino ad oggi ha fatto ricorso sono tutti compresi nell’ambito delle tecniche tradizionali, acquaforte, acquatinta, puntasecca, cera molle; la litografia è stata utilizzata al massimo per la preparazione di alcuni fondini. Ma è con fare ribelle che affronta l’esperienza dell’incisione, con il bisogno di scompigliare, di giocarsi tutto in un azzardo che alla fine ripaga, con un atto di angoscia cosciente, di fatica, quasi da assalitore. Mentre nulla di particolare vi è da osservare per l’uso che ha fatto dell’acquaforte, cera molle o puntasecca, merita un cenno il singolare modo di procedere che attua con l’acquatinta, sia per la sua singolarità, sia perché con essa ha raggiunto spesso quegli effetti che meglio si adattano al suo linguaggio incisorio. Il suo personalissimo modo di ottenere l’acquatinta consiste nel macchiare la lastra con del bitume (quello che ordinariamente si usa per il retro della lastra), su tale superficie poi disegna e asporta il bitume con cartoncini appuntiti o con uno straccio. Restano così dei bianchi indistinti su cui deporre la colofonia, che si attacca alla parte metallica scoperta. Alcune varianti tecniche sono per lo più sovrapposizioni di procedimenti diversi, non tutti propri delle tecniche incisorie. In qualche caso ha utilizzato una stampa, o parte di una composizione di una stampa, come base per una successiva tempera, o come materiali per collages, o come fondo per monotipi.
Per Vitali incidere significa spingere i mezzi della tecnica talmente avanti, o talmente indietro, dalla Regola che, quasi sempre, finisce col trovarseli lì. Non riusciamo più a capire dove inizia o finisce la cera molle, dove la maniera allo zucchero.
Domina i processi delle morsure senza fare avvertire il ‘limite’ della casualità; riesce a dominare e a nascondere la presenza dell’artefice. Magia dell’artista che sa smettere al momento giusto, l’attimo e il tempo, lasciar fare alle cose significa anche conoscere le cose.
La sua sapienza pittorica è stata trasferita anche nell’incisione, alla quale si dedica dagli anni ottanta, arrivando a straordinari risultati in quella particolare variante dell’acquaforte che è la ceramolle, tecnica in uso dalla metà del Settecento. Basta ammirare fogli come Il vecchio per rendersene conto: il risultato è un bellissimo ‘effetto grafite’, una morbidezza di segno tipica del disegno a matita.
”Per arrivarci - spiega l’autore - ho scaldato la lastra su un fornello, poi con un tampone di bambagia pressata l’ho spalmata uniformemente di cera, che in realtà è una vernice piuttosto pastosa, quindi ho annerito questa patina con la fiammella di una candela. Successivamente ho steso sulla lastra un foglio di carta velina, su cui ho tracciato il disegno con una matita di grafite a punta grossa. Infine, asportata la carta, ho sottoposto la lastra alla consueta ‘morsura’ in acido. Per quanto riguarda i tempi di ‘morsura’ esistono norme precise, ma è meglio che ognuno si regoli da sé, sulla base del risultato finale che desidera ottenere. Del resto l’incisione è una disciplina dura: occorre tentare, ritentare e trovare una propria strada”…
Le opere grafiche non sono concluse nella linea incisa che pure guizza sicura sulla carta, ma si avvalgono di accorgimenti, prima sulla lastra, poi durante l’impressione sul supporto cartaceo, aggiungendo tocchi, suggerendo effetti, moltiplicando le gradazioni intermedie del bianconero e servendosi ancora di tempere e acquerelli per soddisfare l’insopprimibile esigenza di cromatismo. E’ soltanto dagli anni ottanta che ha adottato la calcografia, ma sembra che la conosca da sempre: acqueforti, acquetinte, ceremolli sperimentate singolarmente o intrecciate fra loro, indugiando sugli interstizi, moltiplicando la gamma delle sfumature, con un piglio ironico sempre addolcito da una profonda consapevolezza della fragile natura umana. Grazie alla severa asciuttezza del bianconero i ritratti e i paesaggi, tracciati con un filo sottile che s’aggroviglia, hanno assunto una loro più drammatica, graffiante pregnanza di documento psicologico, penetrando nei recessi delle case che paiono rifugi per la gente sbattuta qua e là da un minaccioso preludio di burrasca; ed anche alle scene di macelleria domestica che, nelle pozze d’inchiostro, da cui traspaiono i grigi, doloranti brandelli di carne straziata, perdono ogni residua connotazione di normalità culinaria per proporsi nella loro sinistra verità di tortura, di sopraffazione, di morte.