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La memoria
Pittore di una realtà tutta interiore, Vitali non ha mai voluto
lasciare Bellano, il luogo in cui è nato, neppure quando alla fine degli
anni ’40 gli si era presentata l’occasione di vivere e lavorare a Milano.
Non ne ha mai sentito il bisogno. Anzi le rare volte che si allontana per
lui è una sofferenza. Sulle rive del lago c’è tutto ciò che gli serve,
nella vita di paese, lui, artista non di paese, scorge sotto forma di
frammenti di un racconto, la vicenda personale di ciascuno. E il miracolo
che si compie sulla tela o sul foglio, allontana la paura dell’esistere
attraverso una fantasia e un sogno ben ancorati alla quotidianità.
Il riporto del reale subisce il distanziamento della memoria, che sottrae
all’immagine l’immediatezza e la segmenta, la sottopone alle titleerazioni
del sentimento stesso che ne ha provocato il recupero, la mescola con
interventi di reinterpretazione ‘a freddo’ che introducono fattori
simbolici di confronto sovraccarico di senso che solo il ricorso al
meccanismo del ricordo può dare, personaggi colti nella loro essenzialità
psicologica e pazientemente ricomposti, non sorpresi allo stadio
naturale, ritrovati senza velleità di motivazioni culturali aggiuntive ma
fusi in un unico appello di persone, di oggetti, di sapori ambientali che
ha l’originalità di una convinta ricognizione del mondo cresciuto in sé
dall’infanzia, nella sedimentazione del tempo. Tutto ciò che Franco Loi
ha denominato “memoria catastale”, sottolineando così la sofferta, cauta
lentezza di un processo ideativo che s’interroga nel suo farsi,
rifiutando ogni certezza di acquisizioni raggiunte, ponendo dubbi anche
sulla qualità di un’ esperienza professionale che pure ha avuto una lunga
maturazione.
E’ una stupefatta riscoperta e ricomposizione di un universo scomparso,
ma a modo suo, riconnesso e rimodellato in una nuova versione, in un
museo privato però di immagini, non di cose. Quello di Vitali è un
guardare dentro la realtà, partendo dalle impressioni che essa gli
suscita, per questo motivo sfugge gli esterni, così come i paesaggi en
plein air, è solamente nel suo studio che l’emozione, lasciata nel
ricordo, a poco a poco riaffiora. L’artista si mette all’opera, ritrova
le forme del tempo nelle macchie, dimenticate sulla tela, oppure in
soggetti già dipinti che non lo soddisfano più. E’ infatti sempre un
piacere prendere in mano un suo quadro e scorgere le forme preesistenti.
Per Vitali non c’è differenza tra un viso umano e quello di un animale,
anzi, a volte è più umano quello dell’animale che assurge a simbolo di
tutta la vicenda degli uomini. La deformazione per Vitali è insita come
nel destino delle cose, delle carni. I volti sono già corrosi da lebbra,
polvere che ha ancora vanità di fingersi carne. In Achille, Festa ai
Roccoli, Risata, E ancora carne perché l’intiera produzione è una
meditazione sul come muore la carne. Faraone, Galletti, Conigli, Cuochi,
loro stessi carne macellata, Tori squartati, Macellai, macello,
macellazione del maiale. Conta ciò che emerge, è ciò che la notte lascia
affiorare, dunque, la verità dell’opera; perché la sua pittura è
rivelazione, conoscenza, atto di spiegazione delle forme scomparse,
catturate dalla luce. I suoi luoghi non cessano di esistere, anche quando
nella realtà sono ormai scomparsi poiché è la memoria, in modo incessante
a dar loro vita.
Quella di Vitali è un tipo di memoria che non abbellisce mai il passato,
né lo alleggerisce. Nelle sue opere non c’è la lievità, tipica di certi
ricordi pittoreschi, compare piuttosto una pesantezza che soffoca, che
provoca la vertigine. Le sue non sono mai realtà convenzionali,
semplicemente evocate, ma improvvise illuminazioni che vengono dal basso
della fantasia e che restituiscono, come risultato, una realtà deformata,
grottesca ed esasperata. E’ agli animali, protagonisti della memoria, che
Vitali affida le contraddizioni del presente e le tensioni del futuro che
generano ansia e tormento. Ma anche le cose e gli oggetti sono legati al
tema della memoria. La bottega del Cecio il dipinto del 1986 è un chiaro
esempio di come Vitali intenda l’universo delle cose. Lo spazio è invaso
dalla presenza di oggetti, scarpe, barattoli, giornali, c’è persino
incollato del cartone, e nell’angolo in basso, il solito gatto traditore,
che si allontana con un pesce rubato. E’ uno spettacolo tutto quotidiano
d’oggetti, di resti di magazzini dimenticati dal tempo, ma non dalla
memoria. E’ come un catalogo di cose disparate, che in quell’evidente
disordine trovano una loro collocazione. Ma quando mai la realtà è stata
ordinata? Non si perdono spesso i fili dell’esistenza? E il senso di una
vita non si confonde, forse, con sentieri sotterranei che difficilmente
riaffiorano, e sempre a fatica? Ebbene, in questa bottega del Cecio si
riflette una realtà dai mille aspetti, dai mille ricordi, dalle mille
storie, compiute o lasciate sospese. C’è un che di demoniaco in questo
antro, dove da una finestra prorompe la luce. E la dannazione non si posa
sullo sguardo impassibile del Cecio, o sulla sua smorfia di attesa
infinita, ma serpeggia proprio tra gli scaffali, sul tavolo, sul
pavimento. Quella che Vitali ritrae è un’accurata registrazione
dell’accozzaglia di cose, che animano quest’universo.
In questo caso, in particolare, ma non è il solo, Vitali giunge a
mostrare una vera poetica delle cose, che s’innesta con l’altra poetica,
quella della terra e della territorialità. D’altro canto le stesse cose,
tradotte negli innumerevoli volti umani, sono presenti anche nella
brulicante piazza di Bellano dell’olio del 1969, intitolato Le mani sulla
luna, dove le persone, come spesso accade, sono viste alla stregua di
oggetti, tutti con una precisa identità. Nel mezzo, s’innalza l’albero
della cuccagna a toccare quasi la luna, minacciata da questa danza
sacrilega.
Il senso della memoria, legata agli animali e alle cose, rimanda quindi
al mondo carnevalesco. E’ il mondo al contrario, che ora dà spettacolo di
sé.
Ma Vitali non si lascia distrarre nel suo personale tentativo di cogliere
il centro, nonostante la massa informe, ma ben distinta nelle molteplici
individualità irrompa nel quotidiano. E il realismo dell’immagine si
carica, anche in questo caso, di fantasia e dei significati del sogno,
espresso attraverso gl’incubi della realtà.
E’ nel dialetto che si scorge la secolare tradizione europea, alla quale
Vitali si ricollega, che troppo spesso è stata trascurata in nome di un
pronunciato e freddo intellettualismo accademico. In lui non ci sono
riferimenti a mondi ideali elevati, semmai alla poetica del matto è
questa la poetica comune anche al carnevale che smitizza ogni realtà, in
modo irriverente. Rimanda al disagio per il tempo presente, in favore di
un nuovo mondo.
Predilige le grandi verità nelle piccole cose.
In lui il dato realistico è sempre dichiaratamente leggibile. Egli
racconta, è esplicitamente narrativo, oggettivo pur nella sua
partecipazione viscerale. I soggetti che possono richiamare iconicamente
Soutine (fiori, pesci, personaggi, animali scuoiati) sono poi il
risultato di una stretta aderenza con la sua terra, la sua gente,
dell’uomo che ha scavato nei loro volti e che ha lavorato il colore come
il contadino la vigna.
La forza, la visceralità, il gusto di scavare oltre la materia, oltre le
cose per cogliere il loro fluire.
E’ inutile cercare dei nomi d’influenza,”sapeva” senza conoscere, sentiva
moderno e internazionale, pur restando fedele dentro di sé.
Balzac disse: ”E’ nella provincia che si preparano le grandi forze, anche
se è nella città che si consolidano”. La provincia può ancora favorire
l’osservazione, l’approccio diretto con gli uomini e con le cose, il
silenzio per la riflessione, il corpo naturale delle realtà. In città
tutto si deforma. Là dove c’è la cultura è centro.
Non si è mai allontanato dal figurativo, non ha mai voluto porsi con
l’intelletto davanti al suo bisogno creativo, come ogni artista e poeti
autentici ha semplicemente immerso le proprie sapienze e osservazioni
nell’atto antico e mai esauriente dell’arte. Così siamo al cospetto di
figurazioni folgoranti di luce, di corpi testimoni di una realtà più
ampia delle loro cronache, di forze e energie che le trascendono, e forse
trascendono l’artista stesso. Dimostra in ogni immagine il coraggio delle
proprie padronanze tecniche e l’azzardo della poesia. Le titolazioni sono
una specie di cronaca dei sentimenti dei luoghi, una memoria catastale in
cui la vita dell’artista s’intreccia alla vita di un paese e si allarga
alla contemporaneità. Un mondo nuovo, una rinnovata visione data con
l’intuizione. Alla base del suo operare c’è più una poetica che una
ricerca tecnica.
Un piccolo mondo di provincia che ha le inconfondibili stimmate di un
passato paesano, rustico. L’artista lo rimuove con ironia e pietà, lo
crocifigge sulla tela con determinata precisione di gesti. Un album di
istantanee che potrebbe apparire crudele nella volontà di esibire ogni
piaga, ogni difetto, ma è corretto da un’umana partecipazione che è poi
considerazione di sé, coinvolto nel destino di tutti. Simboli
dell’immolazione collettiva, animali scuoiati, polli penzolanti, immagini
di una morte violenta eppure anch’essa ridotta alla quotidianità, alle
pratiche esigenze di cucina. Sforzo, palesato anche dalla velocità
dell’esecuzione, di far coincidere oggetto e rappresentazione, la
contestualità fra realtà vista e realtà restituita. Nella giunzione fra
le due realtà, c’è una pausa impercettibile, uno stacco, in cui la
memoria prevale sull’osservazione diretta.
Il piglio ironico è sempre addolcito da una profonda consapevolezza della
fragile natura umana.
Quasi un altro mondo quello dipinto da Vitali, rispetto a ciò che i
nostri occhi vedono. Il mondo vero, il mondo sotto la pelle, il mondo
fatto delle sensazioni di ciascuno, fatto di quel che ciascuno è
veramente, un mondo al quale Vitali ha tolto il velo.
Radici conservate ed espresse , offre elementi che consentono di leggere
il territorio, il suo sviluppo, la sua cultura, economia, socialità,
paesaggio. Capace di schiudere all’interlocutore dimensioni più ampie.
Testimoni che sopravvivono al passare del tempo, attraverso i ritratti si
racconta come in una biografia, rendendo viva e vera e quasi presente una
figura, consegnandola così alla storia. Il personaggio è protagonista
della sua quotidianità, grazie all’artista diviene più grande.
Ricerca personale scevra da ‘clichè’, vizi di maniera o ammiccamenti alla
moda del momento. Libero, autodidatta, dotato di una ricchezza espressiva
innata. Fuoco dell’arte. Forza materia e iconografica originalissima, che
evidenzia il vitalismo ed esalta l’istintualità dell’uomo. Sono ‘Nature
morte’ partecipate, così come partecipi e commoventi sono le
rappresentazioni di tipi e personaggi che rimandano a un tempo
irrimediabilmente passato, disvelando nostalgia di una dimensione
perduta, nostalgia del sogno, del desiderio o del ricordo più che di una
realtà, coscienza del difficile mestiere del vivere.
LA CUCCAGNA
La “cuccagna” si faceva in piazza o sul lago. Il palo da percorrere era
tutto pieno di grasso, scivolosissimo, si facevano grandi cadute.
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