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Grafica
Nel panorama dell’incisione contemporanea Vitali occupa un posto
atipico; nato tardi come incisore si è ricavato uno spazio sempre più
consistente e la sua opera ha conosciuto consensi sempre più compatti,
Del resto, quando di un incisore si redige un catalogo, significa che ha
raggiunto uno spessore degno di considerazione con opere diffuse fra
collezionisti e raccolte pubbliche. Questo spessore Vitali lo ha
raggiunto attraverso strade inconsuete, camminando lungo un percorso che
lo ha visto per molti anni impegnato solo nel campo della pittura. Ad
incidere ha cominciato molto più tardi, quando ormai nella sua formazione
era stata del tutto acquisita una solida vocazione verso una pittura
densa e robusta, che ha poi lasciato visibilmente tracce anche in tutta
l’opera incisa. In tale settore, il suo linguaggio, pur restando sempre
fedele ai canoni delle tecniche incisorie, è venato da una costante
propensione a tradurre in segni grafici una visione mentale che spesso
nasce pittorica e non a caso ricorre a una tecnica così poco segnica come
l’acquatinta
Nel 1980 aveva seguito un corso di incisione a Venezia, ma con scarsi e
confusi risultati. Un anno dopo ci aveva ritentato da solo, tentando e
ritentando, fino ad ottenere ciò che voleva. Ne sono uscite da allora,
acqueforti, ceremolli, e tutte le svariate gamme che la calcografia
concede. Sono opere davvero notevoli perché il tratto grafico, pur nelle
caratteristiche proprie del bianco e nero, è ravvivato con un
pittoricismo non sgradevole e l’opera anzi acquisisce, tramite quello, un
senso di vellutate indeterminatezze. Qui, rispetto alla pittura, il
discorso psicologico è più sottile, l’introspezione più ricercata e
l’impatto con la descrizione realistica assolutamente dimenticato.
Ha tentato, e ancora tenta di usare nelle lastre lo stesso linguaggio che
usa sulle tele, ma a volte non riesce, e se ne cruccia e dice che
vorrebbe fondere le due cose in una soluzione unica, ma le tecniche lo
dividono.
Tutto si logora, si corrode e si corrompe, come nei temi della sua opera
infinita. Questo avviene anche nella grafica. Usa l’acquaforte e
l’acquatinta, su macchie preesistenti. Ricorre alla cera molle per dare
maggiore consistenza al segno. Eppure al di là dell’unità tematica, il
lavoro pittorico e quello grafico si differenziano profondamente, tanto
che quando dipinge, Vitali non riesce a incidere e viceversa. Sono mondi
troppo differenti, che ricorrono a grammatiche e sintassi tra loro
autonome e Vitali lo sa bene, così da essere pittore ed incisore, ma al
di fuori di schemi e teorizzazioni astratte. Quando ricorre
all’acquatinta o alla cera molle, che non sono mai impiegate a fini
decorativi o pittorici, ottiene risultati di una maggiore forza
espressiva. Fa uso dell’acquatinta per acutizzare i contrasti luminosi
con una serie di toni che dal grigio giungono al nero, soprattutto nella
creazione degli spazi che circondano il soggetto, operando con bitume
sulla lastra e con colofonia negli spazi lasciati dalla copertura.
Impiega la ceramolle per ottenere invece effetti matrici di maggior
intensità a evidenziare le impronte del tempo. Tempo e memoria, quindi,
riaffiorano anche nella tecnica impiegata, così come nei contenuti. Essi
provengono da uno stesso universo degradato, in cui, tuttavia, si parla
con insistenza il linguaggio dell’Essere. Mentre la storia, e non solo
quella di paese, sta a guardare.
Anche quando incide il segno è tracciato con violenza e in profondità,
perché la trama possa succhiare e trattenere una maggiore quantità
d’inchiostro. Sulla carta poi, in fase di stampa, o terminato un olio,
comparirà l’anima del soggetto, sia esso persona, animale o melograni.
Quel che si vede è lo spirito che dà vita alle cose.
Le sue incisioni non possono essere linguisticamente accomunate alla
sintassi di un dipinto. Vanno piuttosto lette come il frutto pensato da
una mente che è nata nella pittura e che ora si trascodifica
nell’incisione. Rembrandt e Routitle sono i suoi ideali maestri; il primo
per una questione di resa del segno, il secondo per la profonda carica
umana dei soggetti. Anche in questi due artisti il linguaggio incisorio è
segnato da un pittoricismo indistinto, che conferisce alla valenza del
segno un’efficacia diversa, ma nelle loro opere non hanno mescolato le
carte delle due tecniche e, come Vitali, senza tradire se stessi hanno
espresso con l’incisione la loro visione, nata probabilmente pittorica.
Più forti si mostrano le analogie nella scelta dei soggetti, sostanziate
di fatto e di fondo nell’attenzione verso l’uomo concreto che per Vitali
è quello che vive senza troppe grida, conducendo nel silenzioso solco del
suo cammino un’esistenza comune, talvolta intessuta di solitudine; in
altri casi cadenzata dalla dabbenaggine, o segnata da piccole-grandi
ingordigie. L’angolo di incidenza che interessa Vitali non è, tuttavia,
né sociale né genericamente populista, bensì semmai solo esistenziale, a
livello del singolo che si confronta con una gamma di significati
plausibili. E se in Rembrandt questo si realizza attraverso le pieghe di
soggetti religiosi tradizionali, se in Routitle si esplicita nelle tavole
del Miserere o nel mondo del circo e delle prostitute, in Vitali si
manifesta nella poetica della maschera, intesa come finzione del vuoto.
Essa permette, almeno fino a un certo punto, il nascondimento della
verità attraverso le apparenze. Il suo contrario è la verità svelata,
quando giunge la stagione dei disinganni e ogni evento, non più
disponibile alle distrazioni e alle false speranze, conduce senza scampo
a tirare le somme.
Incarna i suoi principi del vivere nella realtà storica in cui si è
sempre trovato. Il mondo di paese, con i suoi rapporti, diventa simbolo
efficace della dinamica del vivere e dei significati che ad esso possono
essere attribuiti. Quieto indagatore di verità, celate sotto apparenze
semplici; non c’è moralismo, ma senso di solidarietà, che commuove,
pietoso, ma che comunque condanna.
Incisore puro, fedele al bianco e nero e al concetto di incisione
originale. Si direbbe che ha cominciato a mettersi in moto dopo
l’incontro con Giovanni Testori che si era innamorato dei colori densi,
trasudanti materia e sangue. Nel 1983 Oreste Bellinzona lo ha scoperto e
lanciato. Nel 1985 ha editato la cartella Il mio museo quotidiano che è
una rapida ma lucidissima revisione dei maestri dell’incisione,
specialmente di Goya, con d’après che erano invece riappropriazioni,
variazioni, personali sistemazioni, un percorso di ombre, segni,
penetrazioni luminose, una prova delle proprie capacità. La rivisitazione
dei grandi è vissuta da Vitali in modo assolutamente originale e genuino,
come originale e genuina resta la tecnica, sofferta, rischiata. Vitali
omaggia senza inchinarsi, mandando avanti accanto ai capolavori degli
altri, i personaggi suoi, umili ma grandi. E scegliendo tra il bello, il
bello sofferto, povero, deietto. Come le umili figure del Ceruti, i
ciechi di Bruegel, gli ubriaconi di Velasquez e i popolani di Goya.
Mettendo accanto a Rembrandt il suo toro squartato e buttando in
palcoscenico, accanto al pifferaio di Manet i suoi tre figli bambini;
infilando nel canestro di frutta del Caravaggio melograni e castagne e
ripensando ai girasoli di Van Gogh ’; questa data segna l’inizio della
fortuna critica. Da qui in poi Vitali è stato conosciuto e apprezzato,
anche se in quel periodo ben poche cose erano ancora note della sua
opera, mortificata allora da un numero di tirature ancora troppo esiguo.
Per molti anni, e fino alla pubblicazione del Catalogo dell’Opera
Incisoria (1994), la maggior parte delle incisioni è circolata spesso in
sparuti esemplari di prova, essendo le opere con tirature regolari assai
ridotte. Oggi la situazione è differente, le tirature sono state
effettuate e l’opera conosce un movimento di ben diversa portata che ha
reso improrogabile la pubblicazione di un catalogo.
Di fronte a codesti rivolgimenti Vitali ha cercato di mantenere indenne
la sua libertà. Uomo schietto, coerente, coi piedi saldamente poggiati
sulla riva del suo lago; dice che nessuno lo ha mai conosciuto a fondo,
uomo dalla natura pulita, con la consapevolezza di chi sa fin dove può
arrivare.
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