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Pittore Vitali G.

Naturae

   

E’ un artista che ama le contrapposizioni, recto e verso della medaglia, individuandolo non soltanto nei confronti dell’uomo e del suo destino esistenziale, ma altresì in quello della vita animale.
Quando, raramente, gli capita di rappresentare il lago, lo descrive corrucciato, tempestoso, schiaffeggiato dal vento, infido. Quello di Vitali non è un lago sereno che tanta tradizione ha riproposto, al contrario è un lago maledetto, luogo di lavoro e fatica, è il lago dove l’acqua non purifica, ma insudicia, sporca, è il luogo di tenebre e profondità dove lo spirito trova la sua dimora
Rappresenta un piccolo mondo di provincia che ha le inconfondibili stimmate di un passato paesano, rustico. Un album di istantanee che potrebbe apparire crudele nella volontà di esibire ogni piaga o difetto, ma è corretto da un’umana partecipazione, che è poi considerazione di sé, coinvolto nel destino di tutti. Crudeli sono piuttosto i simboli dell’immolazione collettiva, animali scuoiati, polli penzolanti, immagini di una morte violenta eppure anch’essa ridotta alla quotidianità, alle pratiche esigenze di cucina. E’ una morte senza tragedia, ma carica di grottesca impudicizia. Contestualità fra realtà visiva e realtà restituita, nella giunzione fra le due realtà, c’è una pausa impercettibile, uno stacco, in cui la memoria prevale sull’osservazione diretta.
Vitali ha un occhio particolare per il mondo degli animali, in esso ha trovato significati altrove perduti. Ha amato Trilussa, scorgendo nelle sue poesie verità piccole ma sempre attuali e terribili. Le verità le sussurra senza proclami o gesti di indignazione, il suo segno non è graffiante, il suo dito non è puntato. Si tratta di un sostanzioso realismo espressivo, un piccolo mondo a tinte forti e squassate senza moralismi, saggezze o malinconie. C’è qualcosa di morale e profondo, un Soutine addomesticato dal tempo e come temperato alla luce della tradizione dell’Ottocento lombardo.
Ispirazione e vena artistica innervati su una realtà quotidiana, popolare e borghese vista attraverso l’occhio della poesia, poesia che, di fronte al reale, lo trapassa per abbracciarlo, possederlo o contemplarlo. Le figure, gli amici si vestono di incanto, seduzione e fascino. Artista dalla pennellata bella, sciolta e sintetica, la sua pittura è quasi un Realismo che confina col Verismo, ricchezza della materia cromatica, corposa bellezza della pittura, intensità lirica dei rapporti di colori, esaltazione degli umili.
Anche ora che ha conosciuto il successo, dipinge soltanto quello che vuole e come vuole. In Vitali tutto è ritratto, anche il toro. E’ l’insostenibilità del suo destino a far di tutto ritratto, la laica clausura a cui Vitali da anni, costringe la sua vita quasi sapesse troppo bene come ogni nuovo incontro finirebbe per portargli via un pezzo del suo corpo.
Orgoglioso delle sue origini lacustri e dell’ininterrotto vivere isolato nel suo paese.
Per Vitali la natura è sempre stata quasi solo un fondale su cui le storie degli uomini, delle cose, degli animali, sono andate depositandosi.
Si è sempre consacrato al fuoco della realtà, tranne per l’omaggio ad A. Stoppani, avvicinandosi a una materia che non era la sua, l’ha resa cosa viva e vera, per un momento slegandola dalla contingenza della vita.
Questa particolare raccolta, intitolata Le forme del tempo, è formata da una serie di tavole in bianco e nero realizzate con tempera, carbone, acquatinta, inchiostri e collages di frammenti di incisioni. Si tratta di una rivisitazione del mondo di A. Stoppani, l’abate paleontologo lecchese, famoso per i suoi studi di geologia che arrivò a crearsi un museo di fossili trovati sulle “sue” montagne. Il clima onirico e rarefatto di sospensione del tempo, entra a poco a poco nelle composizioni, anche le titolazioni delle opere accentuano l’oniricità, da Geolunari a Ombre fossili sono una metafora sul perenne riproporsi del mondo, malgrado e anche contro la presenza umana: un mondo nel quale sassi, piante e animali dimostrano una resistenza all’ eternità che l’uomo non possiede.
Di tanto in tanto, come per un’apparizione, sono comparsi alcuni quadri di natura, mai di paesaggio. Non vi è nulla della veduta tradizionale, che è scomposta, tagliuzzata, svenata, aperta, franta quasi come in un quadro di Varlin. Segno di una sofferenza, di un gesto che deve consumarsi fino in fondo per essere autentico. Desiderio di lucidità maggiore, violenta introspezione, come a cavare fuori dalle radici l’estremo succo. Bisogno estremo di verità, fino alla prova finale del corrompimento dei corpi.

MISSOLTINI
Gli agoni secchi, “i missoltini” si fanno così: intanto vanno meglio gli agoni presi col quadrato o col “sibiello” e “vàncoràa” incidendoli col pollice appena presi, e tutti dalla stessa parte, tenendo la pancia del pesce verso la nostra e la testa dalla parte del cuore. Poi si lavano e si mettono in salamoia: per ogni kg di agoni, un hg di sale grosso (un po’ pestato se i grani sono troppo grossi). Si lasciano 48 ore nel sale e si girano 3 volte. Poi si lavano (né troppo né poco) e si stendono o si infilano. Devono stare un po’ all’ombra e all’aria, fino a quando la testa, a schiacciarla, canta. Si mettono nella tolla, schiacciando bene la testa, disposti a spina di pesce con foglie “de ori”: quando la tolla è quasi piena si mette il coperchio che è un po’ più piccolo e lascia intorno dell’aria. Poi si incomincia a pressare o con la leva francese, con un sasso in cima, che va giù da solo, oppure col “torcet” di ferro e, all’inizio, bisogna dare ogni giorno un paio di giri. Quando i pesci sono un po’ scesi, se ne mettono altri per completare la tolla. Si pressa sempre, ed esce il primo olio (dalla fessura tra il coperchio di legno e la tolla) che va buttato via: il secondo olio invece va tenuto perché serve a chiudere bene la tolla. Bisogna ancora, ogni due o tre giorni, dare un giro al torchio, poi sempre meno.
Quando incomincia la vendemmia si può incominciare ad usarli.