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Valvarrone

 

La famiglia

   
La famiglia patrilineare

Le famiglie in Valvarrone non furono mai particolarmente numerose, il terreno povero offriva lo stretto necessario e “il disporre di molta mano d’opera avrebbe creato problemi e non rappresentato prospettive di maggior guadagno, come nelle masserie padronali”. La potestà paterna era assoluta sino al primo decennio di questo secolo, gli statuti della Valsassina così recitavano “Il padre possi correggere il figliolo con le mani, con correggia o bastone, mentre lo faccia moderatamente, non rompendo gli ossi né bracci. Nel medesimo modo il marito può battere la moglie avendo in essa corporal potestà, ma non crudeltà debilitando qualche membro ..., e non la ferisca” . Il rapporto fra figli e genitori fu sempre assai rigido e sino all’inizio di questo secolo era di norma l’uso del (voi) nel rivolgersi al proprio genitore.

L’avere figli, soprattutto maschi, fu sempre il desiderio di ogni coppia; ai figli maschi andavano in eredità i beni stabili perchè non finissero in mano ai forestieri. Fu sempre molto netta la differenza tra “vicini” e “forestieri”; i vicini erano gli abitanti del posto da diverse generazioni, i forestieri quelli venuti da fuori o per lavoro o per matrimonio, questi ultimi erano obbligati al pagamento di una tassa detta foresteratico per poter godere del pascolo e del taglio dei boschi. Dopo due mesi di residenza i forestieri potevano Richiedere di divenire vicini, ma il Consiglio di vicinanza, formato dai capo famiglia, che si riuniva tre o quattro volte l’anno all’aperto, era assai restìo a concedere tale diritto e lo concedeva solo dietro un congruo corrispettivo.

Alle figlie venivano concessi in eredità appezzamenti di terreno solo se il marito era del posto; se la figlia unica sposava un forestiero, veniva concessa l’eredità solo se questo si stabiliva nel paese e diveniva vicino.

Sposandosi, la figlia andava ad abitare in casa del marito, il figlio maschio restava nella casa paterna, il nonno (chiamato col proprio nome preceduto dal pa (papà)) assumeva il comando di tutta la casa.

La maggior parte degli uomini, d’estate, emigrava in Svizzera e in Francia, chi emigrava non perdeva il diritto di vicinanza.

La donna nella famiglia

La donna ha sempre occupato un posto di straordinaria importanza nella comunità, ideale della vita semplice e pacifica custode del focolare domestico:

La dona la pö vess la fortüna o la rüina d’una cà
La donna può essere la fortuna o la rovina di una casa

La regiura (reggitrice) in Valvarrone ebbe una vita faticosa, oltre a governare i gruppi familiari, ad allevare i figli, si occupava dell’agricoltura, accudiva il bestiame, filava e tesseva vestendo così tutta la famiglia; nel proverbio che segue è riassunta la laboriosità della donna:

I donn e i campann i en in volta tutt l’ann
Le donne e le campane sono in movimento tutto l’anno

La donna era talmente presa dalle molteplici attività che non aveva il tempo per i pettegolezzi, è infatti una donna taciturna anche perchè sempre affaticata; in una casa felice ci doveva essere:

L’amür e la pas, la spüsa che tas, el föch impizza, la pulenta nel stagnâ
L’amore e la pace, la moglie che tace, il fuoco acceso, la polenta nel paiolo

La madre dava il latte ai bambini sino a tardi, era credenza che non restasse incinta finchè allattava; in gravidanza lavorava senza risparmiarsi e sino all’ultimo momento, subito dopo il parto riprendeva l’attività lavorativa e affidava il bambino alla nonna o a qualche amede (zia). La poesia che segue, in dialetto sulla facciata destra, in versione italiana dell’autore sulla facciata sinistra, descrive le molteplici attività cui era sottoposta una mamma; nelle ultime due strofe si legge la tenerezza e l’amore di una donna, che, seppur affaticata, non tralascia di guardare la sua creatura e con il pudore che contraddistingue la gente valvarronese bacia el sò tosiin (il suo bambino).

Gli anziani e la tradizione orale

I nonni cooperavano nella famiglia curando i bambini, la nonna portava nella gerla la cüna (culla) col nipotino e accudiva a questo e ai suoi fratelli mentre la mamma lavorava nei campi; aiutava anche a spargere il fieno, in quel caso la culla col bambino veniva appesa con una corda ad un ramo per evitare che le velenose vipere o i tetavacch (serpenti non velenosi) mordessero o si attorcigliassero attorno al collo del bambino, attirati dall’odore del latte.

La solidarietà tra le famiglie

La solidarietà era alla base della vita sociale nelle comunità di questa vallata, sia perchè erano tutti parenti fra di loro (molto raramente sposavano persone non del luogo), sia perchè solo aiutandosi potevano sopravvivere. Si soleva fare la muta (scambio) per tutti i lavori della campagna, un giorno si aiutava una persona a portà el ledam (portare il letame), l’indomani il favore sarebbe stato contraccambiato. Soprattutto la lavorazione del latte e la pastorizia avvenivano in forma associativa; significativo è come ci si prestava il latte per la produzione del burro e del formaggio. Sui monti, ove si produceva la maggior parte di formaggio, nella casine dol lacc (cascina del latte) avveniva lo scambio del latte; ognuno prestava un determinato quantitativo di latte che veniva versato in un recipiente, con il moél (bastoncino), posto verticalmente nel recipiente, si misurava e si faceva la tache (l’incisione); ogni persona procedeva in questo modo e infilava il proprio bastoncino nel portamoél (asse con molti fori appeso al soffitto). Quando veniva restituito il latte, si trave giù la tache (annullava il segno).

Non esisteva il veterinario, la cura degli animali era affidata a persone del posto, le più esperte, sia perchè più anziane sia perchè più tajade (predisposte). Esisteva però a Tremenico la cumar (ostetrica) che serviva però l’intera vallata, le donne non potendo contare molto sulla sua presenza, si aiutavano a vicenda