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Metodo costruttivoLe barche a remi tradizionali del Lario sono fatte rigorosamente ad occhio e col sistema a guscio, in altre parole facendo prima il fasciame e mettendo poi la struttura. La struttura viene applicata in un secondo momento perché altrimenti questa richiederebbe uno studio preliminare teorico della forma dello scafo. Il costruttore, invece, col metodo tradizionale poteva vedere nascere la forma ed eventualmente andare a correggere gli andamenti che riteneva sbagliati. Per la costruzione si procedeva partendo dal fondo; per definirla il costruttore si poneva ad una certa distanza dalla poppa dell’imbarcazione e stabiliva l’inselidüra in altre parole la curvatura longitudinale che è in relazione alla curvatura dei fianchi e, quindi, con la rotondità dello scafo e da questo, con ottimo senso delle proporzioni, si stabilivano lunghezza e larghezza della barca finita. Questo era quindi l’approccio per la definizione delle dimensioni delle imbarcazioni tradizionali, cioè quelle con fasciame a “paro” o a “caravella”.L’approccio non cambia nemmeno con l’avvento delle imbarcazioni a fasciame sovrapposto. Il costruttore, in questo caso dopo aver realizzato lo specchio di poppa, si poneva dietro ad esso e, guardando verso la prua, definiva la linea di quella che sarebbe stata poi l’imbarcazione finita con una capacità tipica degli scultori di immaginare l’opera finita.Questo tipo di approccio è di fondamentale importanza. Da questo dipende il difficile reperimento di informazioni scritte riguardo a misure, a metodologie, all’assoluta mancanza di progetti. Da questo potrebbe dipendere la fine di una tradizione cantieristica che si è sempre tramandata solo per via orale e sotto forma di “praticantato” dove il Sepultòn, con molta parsimonia, trasmetteva la propria esperienza ai propri collaboratori.Ancora, questo tipo di approccio, determina il fatto che non furono costruite due barche uguali. Questo comporta una maggiore difficoltà di catalogazione delle singole imbarcazioni perché all’interno di una singola tipologia si nascondono infinite varianti, per quanto concerne le dimensioni, ma anche varianti formali dettate dalle necessità dei singoli barcaioli o dalla civetteria dei vari cantieri che, in qualche modo, firmavano la loro imbarcazione in modo più o meno riconoscibile. Barche tradizionali
Solitamente in cantiere si aveva una buona scorta di
legname per la realizzazione delle imbarcazioni. Il legname si reperiva
nei boschi circostanti il lago ed era lo stesso costruttore oppure uno
dei suoi aiutanti che si recavano nel bosco con i segantini per scegliere
gli alberi da abbattere, nella stagione e con la luna giusta. La tradizione
voleva che si usasse legno di larice e castagno, per quanto riguardava
il fasciame, larice per la struttura, abbondanti nella zona. In titleernativa
venivano usati la robinia e il gelso. Il legno di larice era apprezzato
per la sua natura rettilinea mentre il castagno, più irregolare era
maggiormente utilizzato quando si incontrava la necessità di eseguire
delle curve, si sfruttava cioè la sua curvatura naturale. Queste due
essenze sono inoltre caratterizzate da un'elevata imputrescibilità.
Questa profonda conoscenza delle caratteristiche meccaniche delle essenze
a loro disposizione non si limitava ad un'accurata scelta dei materiali
in quanto tali, ma anche dalla zona in cui questi venivano reperiti.
Gli alberi venivano abbattuti e tagliati sul posto, in modo da trasportare
in cantiere le tavole già sgrossate e quindi pronte per la stagionatura.
La Stagionatura durava circa tre anni; eccezionalmente, o per legni
diversi quali la robinia, poteva arrivare fino a cinque. Queste cüsidüre erano impiegate soprattutto per le giunzioni
testa-testa ad incastro.
Le
tavole del fondo, come tutte quelle che costituivano il guscio dello
scafo, non erano regolari ma tagliate con bordi non rettilinei, a seconda
della vena del legno e dei pezzi a disposizione. In questo modo, nelle
parti curve delle imbarcazioni, si può notare una certa angolosità anche
se le tavole erano piegate a fuoco. La forma del fondo era lenticolare
asimmetrica, con la poppa più larga della prua, salvo che per la Nàaf.
Come già visto, non c’era alcun criterio fisso per dare proporzioni
al fondo. Per impostare la costruzione si sistemavano dei cavalletti
sui quali venivano appoggiate le tavole del fondo dell’imbarcazione.
Per dare la curvatura voluta per i fondi più arcuati, o per le parti
più arcuate del fondo, si piegavano le tavole a fuoco. La consistenza
e la forma delle tavole così piegate venivano garantite da tre traverse
(travi) posizionate senza uno schema fisso, secondo le esigenze di forma
e robustezza. Al fondo, che costituiva la base per la costruzione, venivano
fissate le tavole del guscio o fasciame mediante i tipi di chiodatura
visti e quindi si arrivava al bordo superiore. A questo punto si mettevano
le altre traverse e le ordinate (sgorbie) che venivano inchiodate alle
traverse ed al fasciame. Fatto questo si cingeva tutto lo scafo con
un grosso trincarino, fissato sopra all’ultima tavola del fasciame.
A scafo praticamente ultimato si aggiungevano gli accessori che verranno
meglio descritti parlando dei singoli tipi di barca. Tutto questo veniva
eseguito con legno di notevole spessore (per una gondola circa 5 cm
per il fasciame e 12 cm per le ordinate), in modo che la costruzione
potesse avere una buona durata.Finito lo scafo lo s'impeciava abbondantemente,
dentro e fuori. Le tavole, pur essendo ben sagomate, non combaciavano
al millimetro e questi interspazi venivano sigillati ermeticamente con
la tea poi calafatata con la pece. La tea era incastrata negli interstizi
delle tavole garantendo una perfetta tenuta e la pece proteggeva dalla
corrosione dell’acqua. Questa operazione, fondamentale in fase di realizzazione,
era altrettanto importante in caso di riparazione. Consentiva, infatti,
una maggiore durata delle varie componenti. Anche le tavole danneggiate
potevano più volte essere “trattate” tramite inteàda in modo da evitarne
la sostituzione (che Da quanto fino ad ora descritto, risalta l’abilità dei costruttori nell’utilizzare e ottimizzare pienamente le risorse ambientali locali in modi diversi a seconda delle necessità. Tale capacità era il frutto di una tradizione tramandata di padre in figlio, ma anche dallo stato di isolamento dovuto alla mancanza di strade che spinse quindi la popolazione ad un sensibile grado di autosufficienza. Barche a fasciame sovrapposto (o a clinker)Le barche tradizionali fino ad ora esaminate
avevano un elemento comune. Erano imbarcazioni da lavoro e come tali
rispondevano a requisiti precisi dettati dalle attività che avrebbero
dovuto svolgere. Facilmente intuibile era la difficoltà di piegare il fasciame in modo innaturale con una doppia curvatura, o meglio una curvatura e una torsione. Se, infatti, noi immaginiamo di posare la prima tavola del fasciame poggiandola da una parte allo specchio di poppa e dall’altra alla prua, cioè la parte più rastremata della barca; e questo seguendo i modelli trasversali quindi eseguendo nel frattempo una curva, capiamo che senza qualche tecnica particolare la nostra tavola si spezzerebbe. Per ovviare a questa difficoltà tecnica si è ricorso nel tempo a varie tecniche ed espedienti. La tecnica di base è quella della curvatura a fuoco che nel tempo si è evoluta fino a quella a vapore. Per quanto riguarda il fasciame, una tecnica utilizzata era quella di immergere in acqua le tavole per una notte, poste sotto a pesanti massi che le ancoravano alla riva. Una volta estratte dall’acqua le tavole diventavano malleabili e venivano forzate sui modelli ancorati alla chiglia verso la forma desiderata. A terra, intanto, si faceva una striscia di segatura alla quale veniva poi appiccato fuoco. Le tavole venivano passate, curvate, sulla striscia ad una certa distanza e venivano levate ai primi scricchiolii. Finita la posa del fasciame si andavano a posizionare le ordinate (sgorbie) nella posizione e nel numero adeguato. Anche per la curvatura delle sgorbie vi erano più tecniche. Una di queste consisteva nel metterle a bagno in un cilindro metallico e poi fatte bollire. Una volta estratte le si curvava e si posizionavano direttamente nello scafo e inchiodate. In un’altra tecnica si utilizzava il vapore. Le sgorbie venivano ordinatamente riposte dentro ad una cassa di legno, collegata con un tubo al cilindro metallico. Il vapore dell’acqua in ebollizione passava attraverso il tubo di collegamento e veniva convogliato all’interno della cassa, e quindi sulle sgorbie. Questo metodo era più graduale e meno traumatico per le tavole che, pur essendo malleabili, perdevano meno in elasticità. Ultima evoluzione di questa tecnica fu quella di preparare delle dime dove forzare le sgorbie trattate. Le sgorbie venivano poste in queste dime e lasciate raffreddare, poi venivano estratte, verniciate e solo successivamente poste nello scafo. Questa ulteriore operazione permetteva di verniciare le sgorbie con più mani di vernice e su entrambe le facce. Precedentemente le sgorbie venivano verniciate all’interno dello scafo con notevoli difficoltà e la parte sottostante rimaneva grezza e quindi meno resistente all’attacco degli agenti atmosferici. Una volta collocate anche le ordinate, lo scafo era pronto per le finiture. Appunti tratti dal quaderno di Ernesto Riva di Laglio,
una vera rarità nel contesto
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