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Le barche a remi da trasporto
Sino dai tempi più remoti, i trasporti venivano effettuati,
a causa delle difficoltà presentate dalla via terrestre, via lago. Come
precedentemente descritto, la mancanza di strade influenzò notevolmente
lo sviluppo di una tipologia nautica specifica. Per quanto riguarda
il trasporto, venivano utilizzate principalmente due tipi di barca:
la gondola lariana da trasporto ed il comballo.
Entrambe
erano grosse imbarcazioni da lavoro; il comballo aveva il fondo completamente
piatto e si presentava quasi come un barcone da trasporto fluviale.
La gondola era, come il comballo, una barca da carico ma dalle dimensioni
minori e dalle forme più aggraziate e più marine. Di origine antichissima
era probabilmente una evoluzione della barca da pesca lariana.
Comballi e gondole furono costruite in tutte le dimensioni e di tutte
le portate, fino ad un limite di 1000 quintali per una lunghezza di
26 metri. Le barche più piccole arrivavano ad appena 80 quintali. Sia
il comballo sia la gondola avevano una vela quadra utilizzabile esclusivamente
nelle andature portanti (solo di poppa) e che quindi ben sfruttavano
i venti regolari che soffiano sul Lario. La vela era larga quanto la
barca ed alta quanto la sua lunghezza, caratteristica questa che ritroveremo
in altre imbarcazioni tradizionali. Le gondole avevano sempre dei cerchi
sui quali era appoggiato un telone per riparare il barcaiolo, ma soprattutto
il carico, dalla pioggia e dagli spruzzi.
Le gondole trasportavano di tutto, mentre i comballi erano specializzati
nel trasporto di materiale edilizio. Entrambe le imbarcazioni lavorarono
fino a poche decine di anni fa (con l’ausilio di motori) svolgendo il
lavoro di trasporto oggi effettuato via terra dagli autocarri.
Comballo
Il comballo, era forse l’imbarcazione che meglio lasciava
trasparire, nelle caratteristiche strutturali e costruttive, l’arcaicità
delle sue origini. La prima nota storica (di Giancarlo Colombo), nella
quale appaia esplicitamente un riferimento a questo tipo di imbarcazione,
risale all’anno 1218: “statum est quod nautae lacus cumarum inter se
aliquo modo non faciant societatem de navibus seu scavacis vel cumbis”
(è stato stabilito che i barcaioli del lago di Como non si mettano in
società fra loro in nessun modo per la gestione di navi o imbarcazioni
o “cumbe”).Si trattava di una barca di grandi dimensioni, a sezioni
quadrate, di lunghezza che variava da venti a oltre trenta metri; le
sezioni condizionavano la forma delle estremità, con il fondo costituito
da una parte piatta, ottenuta da giunzioni di tavole irregolari, che
dall’estrema poppa andava alla prua.
Per
la semplicità di costruzione e l’elevato grado di diffusione in quasi
tutte le località del lago, la tipologia costruttiva di base rimase
pressoché invariata nel corso dei secoli e riuscì a trasmettersi attraverso
generazioni di costruttori, divenendo parte integrante della tradizione
degli artigiani locali.Barca da trasporto, grossolana nelle finiture,
il comballo era in grado di soddisfare, con la massima efficienza ed
adattabilità, le esigenze del trasporto locale. Questo era possibile
grazie alla sua capacità di trasportare un carico di merci notevolmente
maggiore rispetto a tutte le altre imbarcazioni. Era principalmente
utilizzata per il trasporto di materiali pesanti, ed in special modo
per il trasporto di materiali per l’edilizia, quali sassi di Moltrasio,
ma anche sabbia, calce e legna per le fornaci. I trasporti con questo
vero e proprio “camion” dell’acqua si fecero sempre più rari a partire
dalla metà del XX secolo per l’avvento di altre forme di trasporto,
primo fra tutti quello su gomma. Il comballo fu quindi tra le prime
barche da trasporto dell’epoca “moderna” del Lario ad estinguersi. Curioso
è il destino dei barcaioli impiegati su queste imbarcazioni: buona parte
di questi, infatti, non cercò una nuova occupazione sul lago, (magari
utilizzando altre imbarcazioni o convertendosi alla pesca), ma cercarono
fortuna nel trasporto su gomma. In pratica continuarono la loro attività
utilizzando solo mezzi diversi.Il comballo derivava presumibilmente
da imbarcazioni per il trasporto fluviale; da Lecco a Milano (lungo
il fiume Adda) il trasporto avveniva su burchiello. Questo era, di fatto,
molto simile al comballo, sia dal punto di vista formale che da quello
tecnico-costruttivo. Le differenze si possono riassumere in: albero
semovibile (per navigare anche sotto i ponti disseminati lungo l’Adda),
fondo più sottile ed elastico e timone poppiero molto lungo e centrato
sullo scafo.Il comballo possedeva una sola vela quadra, la cuialtezza
e la sua larghezza equivalevano all’incirca alle rispettive lunghezza
e larghezza dello scafo. La vela era sostenuta da un albero non abbattibile
ed era adatta a sfruttare unicamente i venti di poppa. Due pesanti remi
a prua e due a poppa venivano utilizzati per sopperire alla mancanza
di vento ed erano, assieme al puntàal, indispensabili nelle difficili
manovre di attracco. Il governo avveniva mediante una trave a sezione
circolare all’estremità della quale era fissata una rudimentale pala.
La lunghezza di questo rudimentale timone era complessivamente di circa
dieci metri. La trave era appoggiata e legata in una forcella posta
di solito sul fianco destro dell’imbarcazione. La poppa era coperta
d’assi per una lunghezza di quattro o cinque metri. Questa copertura
creava un vero e proprio locale (tèm) dove il barcaiolo cucinava, dormiva
e si riparava dalle intemperie. Le brande (ce ne stavano due) erano
chiamate balén, fatte con un pagliericcio di foglie di granoturco. La
barca era anche dotata di brasèra, un fornello per cuocere la polenta.
In funzione del tipo di merce trasportata, il carico poteva essere coperto
da una tenda; esistevano, inoltre, imbarcazioni provviste di cerchi
di ferro removibili, che potevano sostenere un telone.Quando i comballi
navigavano a pieno carico, presentavano le fiancate poco elevate sulla
superficie dell’acqua. Quando questo avveniva si diceva che il comballo
era cargàa fina a la fàsa (caricato fino alla fascia). L’abitudine di
sfruttare al limite le doti di carico di questa imbarcazione, è stata
la causa di frequenti naufragi.
Quatras
Era una interessante barca da lavoro che si adattava
al particolare ambiente dove veniva utilizzata. è, come la precedente,
una imbarcazione a carattere “locale”. È l’imbarcazione tipica dell’alto
Lario e più precisamente della zona che comprende il laghetto di Novate
Mezzola fino alle foci (si immettono nel Lago di Como) dei fiumi Adda
e Mera.È una barca essenziale, la sua forma è pressoché rettangolare
(da cui il nome quattro assi) e veniva utilizzata per la pesca o per
il trasporto in acque calme con fondi prevalentemente paludosi. Questa
piccola barca, priva di chiglia, veniva costruita in meno di una settimana.
Come per le altre imbarcazioni lariane non vi erano dimensioni prestabilite.
Solitamente queste si avvicinavano a circa quattro metri di lunghezza
per una larghezza di un metro e settanta.
Si
costruiva partendo dal fondo. La lieve curvatura del fondo (inselidüra)
era ottenuta con metodi diversi: uno di questi prevedeva che le tavole
fossero appoggiate sopra a dei cavalletti, caricate con dei pesi, ed
accendendovi poi sotto un fuoco. Passo successivo della costruzione
era il posizionamento delle traverse per dare consistenza al fondo.
Si applicavano poi gli specchi (di prua e di poppa) e si sistemavano
le fiancate. Il tutto era fissato con quattro o sei ordinate chiamate
pescìn (piedini). Il legno utilizzato era il castagno, il fissaggio
delle tavole avveniva tramite chiodi quadri in ferro dolce. Oggi il
fondo è in larice e le fiancate di abete, i chiodi utilizzati sono di
rame. La conservazione dello scafo era assicurata mediante spalmatura
d’olio di catrame, che doveva essere eseguita ogni anno a primavera.La
manovrabilità e la versatilità, la semplicità di realizzazione e soprattutto
l’economicità, hanno fatto si che questo tipo di imbarcazione sia sopravvissuta
fino ai nostri giorni.La manovra era di due tipi: in acque basse e paludose,
tra canneti e fondali sabbiosi, si utilizzava un palo col quale si faceva
forza sul fondale per spingersi avanti; in acque più profonde la manovra
avveniva con la spinta di due remi. Si remava in piedi, guardando verso
prua. Quando era necessario, grazie alle contenute dimensioni ed alla
maneggevolezza dello scafo, la manovra poteva essere condotta con una
sola mano, lasciando libera l’altra per il lavoro. Questa caratteristica,
faceva del quatràs una barca idonea all’uso anche per un solo pescatore.Gli
scalmi, ora di tipo moderno (forcole mobili in metallo) erano originariamente
costituiti da due semplici pioli di legno affiancati, tra i quali venivano
posti i remi, tenuti in posizione da uno stroppo in cordame. La poppa
aveva il fondo lievemente rialzato, per ovviare all’effetto dei vortici
durante la vogata.Era una barca particolarmente apprezzata anche dai
cacciatori. Questi, nella fase di avvicinamento al luogo prescelto per
la battuta, alzavano il coperchio della cassa localizzata a poppa (solitamente
utilizzata come gavone porta utensili) per nascondersi alla vista degli
uccelli, e retrocedevano azionando un piccolo remo incardinato allo
specchio di prua. I colori maggiormente utilizzati erano il nero di
pece, ma anche il grigio ed il verde scuro perché permettevano un buon
mimetismo.
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