Tutto
nasce da un signore di nome Vincenzo Muccioli, nato a
Rimini nel 1934, figlio agiato di una buona famiglia riminese. Il
padre era proprietario di un’agenzia di assicurazioni. Vincenzo
interrompe gli studi universitari dopo essersi sposato nel 1962 con la
coetanea Maria Antonietta Cappelli, figlia di ricchi albergatori. Con
la moglie ed i due figli, Andrea Maria e Giacomo Maria, si trasferisce a
Coriano, in un piccolo podere di terra donatogli dai suoceri.
Qui,
avendo la passione per l’agricoltura e l’allevamento di animali, si
dedica ad allevare razze pregiate di cani. La via di accesso a questo
podere si chiama San Patrignano, da cui prenderà il nome la futura
comunità terapeutica. Nel novembre 1978 nella casa di campagna dove vive
Muccioli, arriva quella che sarà la prima ospite della futura comunità:
una giovane tossicodipendente trentina, figlia di amici di famiglia.
Nel giro di poco tempo vengono accolti molti ragazzi che chiedono
aiuto. Quando il numero degli ospiti arriva a trenta, viene creata la
cooperativa di San Patrignano. Il suo scopo è dare assistenza gratuita ai
tossicodipendenti e agli emarginati per un futuro rientro nella società.
Nel 1985 viene istituita la Fondazione San Patrignano. Muccioli ed i
suoi familiari dichiarano di rinunciare alle loro proprietà per donare
tutto alla Fondazione.
La comunità all’inizio era di circa venti
ettari, ora è di 250 ettari ed accoglie più di 1800 persone. L’ultimo
fatturato disponibile del 2017 è di 27 milioni di euro.
Fino ad
oggi sono stati accolti circa 26 mila ragazzi e ragazze. Le famiglie dei
ragazzi in cura in comunità non hanno mai dovuto sborsare una lira prima
ed un euro dopo.
Dopo la morte di Vincenzo Muccioli nel 1995, il
figlio Andrea ne ha preso il testimone fino all’agosto 2011 quando, a
seguito di divergenze con la famiglia Moratti, è stato costretto a
lasciare. Ora la gestione è affidata ad un comitato di garanti con il
costante aiuto della famiglia Moratti.
Negli anni settanta, tutti
quelli che oggi hanno una certa età, ricorderanno che vi era una vera e
propria emergenza droga. Era diffusissima. Soprattutto l’eroina. Non era
difficile vedere giovani ragazzi e ragazze che si bucavano
tranquillamente per strada anche in pieno giorno o alla fermata
dell’autobus, spesso nell’indifferenza più totale delle persone. Il
problema droga era diventato una vera emergenza sociale e lo Stato non
aveva né le capacità né la volontà di affrontarlo.
La droga era un
demone che colpiva tutti, non solo i poveri ragazzi sfigati delle
periferie urbane. Ma anche i figli delle più ricche e potenti famiglie
industriali italiane, dei più grandi professionisti, di medici, avvocati,
notai.
Quindi che fare? I poveracci, che “muoiano” per strada,
tanto non sarebbero riusciti mai a fare nulla comunque nella vita. Al
massimo si riempiranno un pò più le prigioni: la droga costa e loro,
essendo poveri, devono rubare per avere i soldi per comprarla. Ma cosa
fare con i figli dei ricchi e soprattutto con i figli delle più grandi e
stimate famiglie italiane? Nessun problema, il rimedio è la classica
clinica in svizzera per disintossicarsi.
Peccato che dopo aver
passato un periodo più o meno lungo in clinica d’ oltralpe, i giovani
eredi ricominciassero a drogarsi più di prima, ammesso che avessero mai
smesso. D’altronde già sentivano forte il peso delle responsabilità che
un giorno sarebbero ricadute sulle loro teste. Le famiglie ricchissime e
potentissime, evitavano ai figli la galera dove invece finivano gli
sfigati drogati. I figli di nessuno.
Dagli oggi, dagli domani.
Chiudi un occhio oggi, chiudili tutti e due domani, quando i casini
enormi di questi “privilegiati” non era più possibile nasconderli,
decisero che bisognava prendere una soluzione drastica. Chi è stato
attento ricorderà il figlio di un notissimo industriale italiano. Sotto
effetto della droga uccise una persona investendola con la macchina.
Anche in quel caso la colpa se la prese qualcun altro. Ma questo era il
punto di non ritorno.
Bisognava fare assolutamente qualcosa.
Pensarono quindi di mettere i figli in luogo sicuro dove non potevano più
far danni, controllati 24 ore al giorno. Se non fossero guariti dalla
droga, quantomeno non avrebbero infangato il nome della famiglia.
Ed ecco che arriviamo al caro Vincenzo Muccioli. È vero, lui accoglieva
all’inizio solo poveri ragazzi che la società rifiutava. Ma dopo poco
tempo la sua comunità già cominciava a prendere in “consegna” i famosi
figli di…
Da qui cominciarono a piovere addosso a Muccioli le
prime critiche. “Si arricchisce sulla pelle dei drogati”, si cominciava a
dire in giro. Certo le grandi famiglie mandavano i loro figli da Muccioli
perché venissero protetti e si garantisse loro privacy e riservatezza. In
cambio Muccioli riceveva dalle grandi famiglie un fiume di denaro.
Si calcola che solo la famiglia Moratti abbia versato, in 40 anni, a
San Patrignano quasi 300 milioni di euro.
Recentemente il figlio
del grande attore scomparso Paolo Villaggio ha raccontato nella sua
autobiografia che, grazie a Muccioli ed alla sua comunità, ha potuto dire
addio all’eroina.
Muccioli non ebbe una vita tranquilla. Ebbe due
processi. Il primo, nel 1985, per sequestro di persona e maltrattamenti
per avere incatenato alcuni giovani ospiti della comunità. Nel novembre
1987 la Corte di Appello lo assolse. Lo stesso fece la Cassazione il 29
marzo 1990.
Il secondo processo nel 1994, che portò a Muccioli una
condanna di otto mesi di carcere per favoreggiamento ed un’assoluzione
dall’accusa di omicidio colposo per la morte, avvenuto in comunità, di
Roberto Manzano.
Vincenzo Muccioli muore il 19 settembre 1995. La
famiglia non ha mai rivelato per cosa. Si è anche detto di AIDS,
contratto nello stare vicino ai “suoi drogati”.
Dopo Vincenzo
Muccioli, l’impero di San Patrignano è passato fino all’agosto 2011 al
figlio Andrea. Andrea, che si sappia, non ha mai avuto problemi con la
giustizia, e sembrava godere della stessa stima del padre da parte della
famiglia Moratti. Poi di colpo è stato liquidato con 80 mila euro e
costretto ad andarsene, non potendo portare con sé nulla, appartenendo
tutto alla Fondazione San Patrignano.
Si dice che la rottura sia
dovuta alla villa di duemila metri quadrati che si stava facendo
costruire dagli architetti di Milano della famiglia Moratti. Nella villa
era previsto un bell’appartamento per gli stessi Letizia e Gian Marco
Moratti. I conti non tornavano.
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